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Coltivazione dei cereali

La Coldiretti in un articolo del 15 giugno 2015 lamenta il crollo del consumo di pane in Italia (da oltre un chilo nel 1861 agli attuali 90 grammi giornalieri) facendo anche riferimento al ‘Pan ner’ della Valle d’Aosta.

 

La richiesta attuale di pane è rappresentata per l’88% dalla tipologia artigianale con grano locale.

 

L’agricoltura ha conosciuto nel mondo profonde trasformazioni dovute anche a cambiamenti nel consumo di prodotti alimentari, tanto dal punto di vista quantitativo che qualitativo. I cereali, prodotto che nel passato aveva un posto d’onore nell’alimentazione quotidiana, hanno subito in particolare negli ultimi decenni un notevole rallentamento seppur ora stiano dando segni di ripresa.

La Salle 2014. Nuove coltivazioni di segale. Cristina Beneyton.

In Valle d’Aosta la coltura cerealicola era ancora abbastanza diffusa fino al secondo dopoguerra. Occupava quasi la metà della superficie coltivabile e i campi si estendevano sino a 2.000 m d’altitudine mentre la tendenza attuale è di non seminare oltre i 1.300 m.

 

Segale e frumento erano le coltivazioni principali sia perché si caratterizzavano per una maturazione precoce sia perché resistenti al freddo e alle erbe infestanti.

 

Per non impoverire i campi, si adottava la coltura a rotazione, alternando il grano con le patate o con altra tipologia di cereale detta minore (avena, orzo, mais, ecc.).

 

La semina avveniva a mano, a spaglio, preferibilmente nel mese di settembre.

 

Luglio era il mese della mietitura; si sceglieva il momento giusto controllando la consistenza dei chicchi mettendone uno sotto i denti: se si rompeva significava che era maturo. Ci si recava nei campi all’alba, quando la temperatura esterna era meno calda e l’aria presentava una minima percentuale di umidità, cosa che permetteva di legare meglio i covoni.

Arnad 2015. Pierre Bonel

Il trasporto nell’aia avveniva a dorso di mulo.

 

La separazione del chicco dalla paglia avveniva in ampi spazi con la battitura delle spighe con il correggiato, lo fléyé, (coppia di bastoni, manico e battente) seguendo un ritmo preciso. L’operazione successiva consisteva nell’ammucchiare il grano aiutandosi con una pala; con il rastrello invece si radunava la paglia e se ne facevano fascine. Il grano si versava nell’artse della segale, dove rimaneva circa tre mesi. L’artse è una grande madia con coperchio, in legno, utilizzata per la conservazione di generi alimentari; ogni famiglia ne aveva una, o più, proporzionata al suo raccolto.

 

Il grano conservato veniva poi macinato nel mulino del villaggio e verso San Martino (11 novembre) si iniziava la panificazione vera e propria, che poteva durare fino al periodo prenatalizio.

Étroubles, 2015. Artse. Marco Calchera

Ogni villaggio era autonomo con i suoi mulini e i suoi forni.

 

Anche la toponomastica in Valle reca tracce dell’importanza della cerealicoltura nel passato: Étroubles, 1.270 m s.l.m., per esempio, paese con coltivazioni di  frumento, si chiamava anticamente Restopolis prima, poi Estruble. Nel 1651 è attestato il toponimo  Estrobles. Tutti questi nomi sembrano significare “pays aux hautes chaumes” (paese dalle alte stoppie).

  

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