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FARE IL PANE

Rhêmes-Notre-Dame, 2015. Fabio Vauthier

“Fare il pane”
“Ora facciamo il pane”: frase che si enunciava abitualmente allorché si intraprendeva l’inizio della panificazione.
In particolare, come già precisato nella precedente sezione, era consuetudine iniziare il 4 dicembre, a Santa Barbara, o comunque agli inizi di dicembre, preferibilmente in fase di luna calante, per ottenere migliori risultati.
La produzione media doveva soddisfare il consumo annuo, corrispondente a cento pani pro capite, ovvero un quintale di segale ad impasto. Da segnalare però, che non tutti i nuclei familiari potevano permettersi siffatta quantità.
Perciò, ci si indebitava per il pagamento, saldato in seguito grazie al ricavato della vendita di burro e formaggio.

Di solito, la farina era ottenuta da grano locale o acquistata in pianura.
Quando possibile, si acquistava la farina setacciata “doppio zero”.
Il pane di puro frumento era una rarità ed era apprezzato come fosse un dolce. Era consuetudine utilizzare una mistura di farina di segale e di frumento. D’altra parte, il pane di sola segale non era particolarmente apprezzato, perché lievitava meno e si induriva prima.

Quindi, ci si accingeva all’accensione dei forni collettivi per la cottura del pane nero della tradizione. In occasione delle festività natalizie, le famiglie potevano presentare in tavola e apprezzare il pane ancora sufficientemente fresco, da poter essere tagliato a fette.

Alcuni forni avevano un locale adibito alla panificazione definito la tsambra di pan oppure la tsambra de couée.
Era una stanza molto sobria, con lo stretto necessario a disposizione: una stufa per scaldare l’acqua, una madia senza coperchio in cui si impastava, un tavolo di legno con i bordi rialzati per trattenere la farina, dei ripiani in legno su cui si disponevano i pani per la lievitazione e, una volta estratti dal forno, per lasciarli raffreddare.

La temperatura della tsambra doveva essere elevata per consentire la lievitazione del pane. Gli ingredienti utilizzati (lievito, acqua, farina) dovevano essere di buona qualità.
Serviva acqua di torrente, priva di calcare, per rallentare la fermentazione.

Prima di cuocere il pane, era indispensabile preparare il lievito madre. Nella zona di Saint-Vincent e Châtillon si usava il luppolo, che cresceva spontaneo nei campi.
La preparazione del lievito si affidava ad una donna anziana, dotata di indubbia esperienza.
Per favorire la fermentazione e la successiva trasformazione in lievito, bisognava lasciar riposare per il tempo necessario la segale miscelata con l’acqua.
Spesso, si preparava il lievito già dall’anno precedente.

“Quando il pane non era lievitato bene, consumarlo era una penitenza; veniva definito alis, pane azzimo”. (Edwald Obert, Ayas, 1970)

La Salle, 2015. Jaccod Giulia

Gli uomini, per la loro spiccata forza fisica, impastavano vigorosamente gli ingredienti contenuti nella madia.
Poi, lasciavano lievitare e constatavano l’avvenuta fermentazione semplicemente controllando se un fiammifero acceso avvicinato all’impasto si spegneva.

Quindi, le donne sollevavano il pastón, lo posavano su un grande tavolo e lo coprivano con un lenzuolo. Poi lavoravano l’impasto con le mani.

Con una paletta di legno o di ferro, si frazionava la pasta in pezzi più piccoli, modellandoli sino ad ottenere le singole forme di pane. Talvolta, serviva la collaborazione di un maggior numero di persone, perché la lavorazione avveniva passandosi da una persona all’altra le singole porzioni.
L’ultimo della fila conferiva la forma dei pani, poi li disponeva in fila su assi sovrapposte, distanziandoli con spessori di legno. Una volta lavorata tutta la pasta, la si ricopriva con un telo e si aspettava con pazienza la seconda lievitazione.
Ogni pane veniva inciso con uno o due tagli in mezzo, mentre qualcuno faceva un segno al centro, pizzicando la pasta con le dita.

La Salle, 2015. Attilio Tampan

Si usavano anche degli stampi con disegni o iniziali impressi su un lato del pane: impronte di riconoscimento, quando più persone panificavano congiuntamente.
Finalmente, iniziava la tanto attesa infornata.
La stima del grado di cottura, avveniva grazie ad un pratico e semplice gesto: eseguire dei colpetti sul pane con le nocchie delle mani e, in base al suono emesso, si percepiva
Il punto di cottura. Si poteva capirlo anche dalla leggerezza del pane, soppesato con una mano.

 

 

« …On embauchait des filles, boulangères d’occasion, le panatére, pour aider la famille à pétrir le pain. Le travail pouvait durer toute la journée et même la nuit »
“ … si assumevano delle ragazze, panettiere d’occasione, le panatére, per aiutare la famiglia a impastare il pane. Il lavoro poteva durare tutta la giornata e continuare di notte” . Cassette n° 674 e n° 1222       Data : 1983    Informatore: Jean Guichardaz, Cogne

 

Verrayes, 2015. Wanda Chapellu

 

 

 

GLOSSAIRE

 

asse lan
fare il pane féye le pan/fée le pan
fermentare sopouegné
grosso pane di pasta patón/pahón
impastare brèyì/brèyé/pahoun-é
levitare lévé/léé
lievito madre levàn
madia mi/ma
marca del pane marca dou pan /marca di pan
marcare i pani marqué le pan
pala da forno pala/ pola
paletta per la farina potse
pane pan
pasta del pane pâta/poha
radimadia paletta/rapé/rapetta
ripiano per i pani tablè/tablé
setacciare tamijì/tamouéjé
stanza di panificazione pasteun
tavolo con bordi tôla/tobla